“Quando finirà il petrolio in tutto il mondo, al Venezuela ne resterà ancora molto. Per questo dobbiamo difenderci. Con la Bielorussia ci siamo accordati per la realizzazione di un sistema di difesa aerea integrale… Che fine ha fatto Saddam
Hussein? Non aveva bombardieri né missili per difendersi, noi ci stiamo armando… Perché il più grande governo terrorista di questo pianeta è il governo degli Stati Uniti!”.
Hugo Chávez parla dal suo aereo presidenziale e apre così il documentario La Minaccia, in programma domenica 20 gennaio a OFFICINE-CINEMA BISTROT, via del Pigneto 215.
Domenica, aeroporto di Caracas, partenza per Alò Presidente. Destinazione sconosciuta.
Il viaggio all’interno di un Paese “in rotta verso il socialismo del XXI secolo” inizia all’alba, e diventa il pretesto per affrontare le contraddizioni di una rivoluzione socialista così difficile da comprendere se osservata al di qua dell’Atlantico.
La politica socialista di Hugo Chávez, al potere dal 1998, ha radicalmente cambiato la fisionomia del Venezuela che da stato satellite degli Stati Uniti è diventato il simbolo dell’ ”altro mondo possibile”.
“Alò Presidente è come prendere i missili più potenti e iniziare a bombardare”.
Hugo Chávez, camicia rossa, aria compiaciuta, parla della sua macchina da guerra: la trasmissione
televisiva che ogni domenica, dal 1999, inchioda davanti agli schermi un popolo adorante. Ogni scelta politica si consuma in diretta: dal licenziamento di un dirigente statale, ad una nuova legge sul divieto di trasmissione radiofonica delle gare ippiche, dall’invito a smettere di fumare ad un nuovo accordo di politica internazionale.
La destinazione diventa la puntata 288, profondo est del Venezuela, fiamme delle raffinerie a fare da sfondo. Il Presidente caudillo lancia il socialismo petrolero, il modello economico socialista che “non può prescindere dall’arma del petrolio” e impone al Venezuela di prevedere “qualsiasi attacco che arrivi dal nord o dall’est”.
Poi, dopo 8 ore di diretta no-stop, in una base militare il cui nome resta segreto, spiega: “Sono gli aerei più moderni del mondo, i Sukhoi, li stiamo armando qui, abbiamo già il primo
squadrone”, e li mostra, orgoglioso di come un Paese “colonia dell’impero, sia stato liberato”.
“Questo petrolio è per il mondo, per i popoli del mondo” grida Chávez sorvolando in
elicottero la falda petrolifera dell’Orinoco, la riserva di idrocarburi più grande del mondo. Eppure proprio del suo popolo, seduto sull’acqua e sul greggio, sembra dimenticarsi spesso o – come raccontano i suoi sostenitori – “sembra disconnesso dalla nostra realtà”
Nove anni di socialismo non hanno annullato le differenze di classe, la violenza, la paura e la povertà che opprimono tutto il Paese.
Non bastano le misiones governative per abbattere fame e analfabetismo, non bastano gli accordi
internazionali di assistenza sanitaria con Argentina e Cuba e presto Italia. Non basta trasformare aziende private in cooperative socialiste per far decollare l’economia.
La Minaccia si slega dal carisma di Chávez e va ad infilarsi nelle pieghe della società venezuelana, spaccata e attonita di fronte a cambiamenti fin troppo veloci, inebetita dall’onnipresente propaganda e dall’inesistenza di un’opposizione coesa che possa controbilanciare un potere sempre più centralizzato.Sono i mesi caldi dell’apostolato chavista, giorni in cui strade, metropolitane, edifici e piazze si vestono del rosso dei manifesti del Governo: Chávez presenta la nuova Riforma Costituzionale, il progetto politico che “trasformerà il Venezuela in un vero Stato socialista”.
La Minaccia arriva nei ranchos, le baraccopoli basi del consenso chavista, dove armi, povertà e scommesse clandestine si fondono con le tessere del partito perché – nonostante tutto – “qui tutti votiamo per Chávez”, ma arriva anche nelle crepe del consenso dove la Riforma Costituzionale fa paura o non convince.
Negli ospedali al collasso per le troppe morti violente, nei barrios senz’acqua, nei lussuosi club privati dove ci si ripara “perché per strada, in ogni momento, ti può succedere qualcosa”.
Rintraccia gli italiani in coda al Consolato in attesa del passaporto per fuggire, sollevando interrogativi
sulle scelte del nostro Governo e sull’assenza di politiche di reintegro. Del resto “all’estero il
Presidente vende un’altra immagine”, dice chi ha scelto di rientrare, “nessuno sa cosa
viviamo qui, giorno per giorno”.
La Minaccia entra nell’Università statale UCV, cuore di quel movimento studentesco che non appartiene all’oligarchia e che protesta per tre giorni e tre notti contro la chiusura del canale televisivo RadioCaracasTelevision gridando “non vogliamo una patria con un pensiero unico”.
La Minaccia ascolta quei ventenni venezuelani, disorganizzati, spaventati e socialisti e scopre che – forse – “questa non è la soluzione”.
Il 2 dicembre 2007 il referendum per l’approvazione della Riforma Costituzionale voluta da Hugo Chávez ha messo un blocco all’avanzata dello stato socialista.
I sostenitori del NO hanno vinto per un pugno di voti. Le strade di Caracas si sono riempite di fuochi
d’artificio e festa per ore. Non ci sono stati scontri, il Governo ha accettato l’esito delle votazioni ed ha parlato di “prova di democrazia”.
Due giorni dopo il Presidente Hugo Chávez, in diretta televisiva, ha etichettato lo stesso risultato come “una vittoria di merda”.
La Minaccia si ferma ad un passo da quel giorno, quando ancora elezioni e risultati erano lontani. Il tentativo è quello di accompagnare lo spettatore attraverso contrasti via via più evidenti, lasciando il giudizio sospeso ed inafferrabile.
Quando il protagonista è Hugo Chávez – nonostante un referendum – il finale è imprevedibile.
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Luca Bellino – lucabellino@gmail.com